Nell’800 il progressivo processo di privatizzazione della terra con la quotizzazione dei demani, lo smantellamento delle proprietà ecclesiastiche e, nella parte centro-settentrionale, la censuazione delle terre sottoposte alla giurisdizione della Dogana delle pecore mutano il paesaggio agrario pugliese: al posto dei campi aperti, dediti essenzialmente alla pastorizia, si avvia il processo di intensivazione delle colture.
Le colture cerealicole, arboree e arbustive, attraverso i disboscamenti e i dissodamenti, invadono territori incolti e boschivi. Nelle quote demaniali sorgono piccole abitazioni e ricoveri per attrezzi, a servizio delle coltivazioni dell’olivo, del mandorlo e della vite.
La borghesia, succeduta all’aristocrazia feudale nella proprietà fondiaria, suddivide le terre in piccoli lotti e li assegna a contadini con contratti di fitto miglioratario (colonia, censo, enfiteusi). Tuttavia, spesso sono anche i discendenti delle vecchie famiglie feudali (e i loro amministratori) in prima fila nella trasformazione degli assetti colturali delle campagne, attraverso il lavoro contadino.
Con la dissoluzione del vecchio sistema colturale si assiste a un lento e progressivo processo di abbandono delle strutture agrarie tradizionali: masserie e jazzi cominciano ad avere forme di utilizzazione impropria e saltuaria, i "pagliai" non vengono ricostruiti, specchie e muretti a secco si disfano, i pozzi si prosciugano.
Arretriamo ai secoli precedenti la grande trasformazione ottocentesca del paesaggio: se dalle aree interne si scende verso la costa, soprattutto a sud dell’Ofanto, ai terreni a cereali, ai pascoli e agli incolti si sostituiscono gradatamente le colture arboree ed arbustive che imprimono una fisionomia completamente diversa alle campagne.
Lungo la fascia costiera, quindi, si assiste ad una profonda diversificazione del paesaggio e la proprietà si attesta su superfici di ridotte dimensioni. L’ulivo si configura come la pianta prevalente, tradizionalmente più importante per gli sbocchi mercantili cui è collegata la sua produzione. Anche la vite è sempre più largamente diffusa, insieme agli alberi da frutta, più frequentemente inframmezzati negli uliveti e nei vigneti o talvolta piantati in giardini di modesta estensione, ritagliati nell’ambito di più ampie unità fondiarie o negli spezzoni di superficie che contornano le aree suburbane della campagna del ristretto. Gli uliveti, sia per l’estensione della superficie coperta, che per il loro più elevato reddito agrario, costituiscono la principale e la più importante destinazione produttiva del suolo.
Se gli uliveti sono colture con una spiccata caratteristica mercantile, capaci di sostenere una notevole domanda da parte dei mercati di esportazione, i vigneti rappresentano una coltura finalizzata quasi esclusivamente al mercato locale o a quello di una ristretta zona circostante.
L’autoconsumo familiare e lo sforzo di raggiungere l’autosufficienza alimentare spingono soprattutto i piccoli proprietari e molti affittuari di modeste quote fondiarie ad adottare forme di sfruttamento promiscuo della terra mediante l’inserimento di cereali all’interno dei loro appezzamenti.
Nelle aree dell’interno la distribuzione della proprietà fondiaria è caratterizzata dagli estesi territori rurali, dagli ampi spazi demaniali e dai grossi patrimoni terrieri. Nella campagna profonda dell’interno, come delle aree intermedie, il seminativo domina il paesaggio.
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