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"Pianta della posta Fornicato in locazione di Andria" - Archivio di Stato di Foggia - Intendenza e Prefettura di Capitanata

L’assenza nel Mezzogiorno italiano di una cartografia catastale di riferimento fa sì che almeno fino alla fine dell’800, quando entreranno in conservazione le mappe del nuovo Catasto del Regno d’Italia, ogni operazione urbanistica, edilizia e agraria di un qualche rilievo richieda una specifica redazione cartografica.


Per tutto l’Antico Regime il disegno del territorio segue due percorsi distinti: il rilievo topografico, caratterizzato in particolare dall’indicazione dell’orografia, elemento essenziale della cartografia giudiziaria e progettuale; la cartografia geometrica degli agrimensori, estremamente disomogenea poiché non risponde a un progetto unitario di raffigurazione. Pertanto non è possibile individuare dei modelli formali di raffigurazione del territorio.
Nei documenti più antichi non è ancora matura la capacità di rendere il disegno autonomo dalla parola: la carta si riempie di citazioni o di trascrizioni da altri documenti che la rendano comprensibile, oppure è inserita in un contesto fondamentalmente descrittivo.

La più antica e completa collezione di carte del paesaggio storico pugliese è rappresentata dalla cartografia della Dogana delle pecore (secoli XVI-XVIII).
Per le sue competenze territoriali, in particolare per la necessità della provvista dei pascoli da mettere a disposizione dei locati transumanti e per la gestione del conflitto tra interessi divergenti, la Dogana di Foggia aveva la necessità di produrre carte geometriche e ne affidava l’esecuzione agli agrimensori con una riconosciuta professionalità. Dai primi timidi esempi di disegno cinquecenteschi, pure rappresentazioni areali che rinviano ad un testo descrittivo, i "compassatori" doganali approdano nel ‘700 al confronto con la complessità degli atlanti e delle grandi carte dei territori comunali, in una scala che è più vicina al lavoro del topografo che a quello dell’agrimensore.
Con la cartografia prodotta nel ‘600 l’apparato didascalico comincia ad essere riassunto nella legenda a margine della pianta, ma è solo nel ‘700 che i documenti cartografici acquisiscono una più piena aderenza alle condizioni del territori.

All’inizio dell’800 si afferma una nuova cultura del territorio, che ubbidisce ai criteri uniformi della legge istitutiva del Catasto provvisorio o Murattiano. Con le riforme napoleoniche, infatti, si esauriscono la committenza della Dogana e quella di università, feudatari, enti ecclesiastici. Unico committente diventa ormai la pubblica amministrazione e in particolare i tribunali civili.
Inoltre, le nuove tecniche di rilievo e di misurazione del territorio richiedono competenze professionali ben più estese di quelle che si possono trasmettere per tradizione orale e con l’apprendimento della pratica. Pertanto, accanto alla figura dell’agrimensore, troviamo ormai stabilmente quella dei tecnici laureati, architetti e ingegneri, in collaborazione con i periti o esperti di campagna.

Nella cartografia ottocentesca agli elementi ornamentali o figurativi si sostituiscono gradatamente il disegno geometrico e i simboli convenzionali. Nella determinazione dei confini delle proprietà grande importanza ha il richiamo alla toponomastica e il riferimento al tracciato delle strade. L’uso del colore accompagna la descrizione suggestiva e puntuale della natura delle colture.
I confini, l’acqua e le colture sono gli elementi principali della descrizione del territorio, quelli che per primi concorrono a determinare la rendita fondiaria. Temi concorrenti, ma che ogni volta vengono letti con una particolare sensibilità che rispecchia la cultura dei luoghi descritti.